• L’associazione “Organizzazione di Volontariato Roti” continua ad essere attiva coinvolgendo nel proprio progetto professionisti, che apprezzano l’area naturalistica della valle di Roti. Il prof. Natele Reda, agronomo e collaboratore della Politecnica delle Marche ha realizzato, uno studio molto interessante del territorio sia da un punto di vista storico che agronomico.

    Il prof. Reda si riferisce definendo “Le attività umane intorno a Rotis ebbero certamente un impulso caratterizzante da parte dei monaci (Benedettini) che intorno al  IX e X secolo si installarono nel sito e incisero sul paesaggio forestale e rurale provocando radicali trasformazioni della economia degli indigeni.                     

    Non sappiamo come fosse l’ambiente in epoca romana antecedente alla realizzazione del manufatto di Rotis tuttavia facendo fede a quanto già noto grazie alla disponibilità di manoscritti  dedicati agli eventi e alle opere in siti similari delle alte colline marchigiane  possiamo immaginare che a  Rotis  (così  come a Camaldoli o a Fonte Avellana)  si eseguirono disboscamenti, dissodamenti e bonifiche per mettere in  coltivazione terreni di superfici adeguate a fornire nutrimento sufficiente per la comunità ivi vivente. Sappiamo per certo che vennero applicate  tecniche  innovative di gestione delle attività agro-silvo-pastorali  e che anche i rapporti sociali vennero poco a poco adeguati al fine di dare nuova dignità a uomini e donne che fino ad allora erano statii considerati homines de terra o ancor peggio mancipia .

    I monaci di Rotis così come quelli dei vari  monastirium  che sorsero lungo la dorsale dell’Appennino tosco-umbro marchigiano riuscirono a gestire  le risorse energetiche, alimentari  e culturali disponibili organizzando comunità di agricoltori- allevatori-artigiani in equilibrio dinamico e resiliente senza acquisire input energetici esterni. Scoprirono ed integrarono le risorse del sito senza sminuire le possibilità di uso nelle epoche successive. Equilibrio e resilienza consentirono una discreto tenore di vita e soddisfacenti attività produttive  anche negli anni successivi all’abbandono del sito da parte della famiglia monastica e cioè almeno fino al XVI secolo. La famiglia di religiosi che si installò  a Rotis come altrove  utilizzò coscienziosamente la foresta tanto che non solo  non ne esaurirono le risorse a favore della generazione vivente ma incrementarono la fecondità dei vegetali che la costituivano  e degli animali che  naturalmente la popolavano . Si può, dunque, affermare che, mostrarono di saper gestire con accortezza tutte le ricchezze che le foresta accumula  sfruttando l’energia solare e i nutrienti disponibili  nell’ambiente edafico .Le coltivazioni di vegetali per uso nutrizionale e gli sfruttamenti delle selve a fini connessi con la vita dell’uomo ( legname da ardere e da opera, erbe per allevamenti animali ) vennero attuate secondo ritmi naturali  senza creare nella comunità indigena gravi carenze o  ingestibili surplus. Lasciarono l’ambiente non degradato, lo rispettarono e lo amarono intuendo che avrebbe dovuto ospitare e saziare molte generazioni che sarebbero seguite. Quando la comunità monastica abbandonò Rotis la spiritualità che animava i religiosi ed non poté più orientare le attività produttive che non essendo più inquadrate in un contesto di rispetto del Creato procedettero senza razionalità.  Infine la discreta asprezza dell’ambiente, la lontananza da grandi vie di comunicazione e  la ristretta disponibilità di risorse facilmente sfruttabili convinse  agricoltori e allevatori a trasferirsi in ambienti in cui il lavoro della terra venisse meglio ripagato. L’insieme di questi fattori ha favorito la conservazione della associazione di erbe e piante spontanee. La minore pressione delle attività umane  ha consentito di mantenere elevati livelli di naturalità dell’ area ,di purezza delle acque sorgive e della terra” – continua il Prof. Reda riferendosi ad un attuale progetto di fattibilità – “Il sistema produttivo agro-silvo- pastorale istituito e gestito per secoli dai benedettini è esempio di gestione multifunzionale flessibile e durevole .oggi lo definiremmo sostenibile, poiché la mia disciplina NON deve prendere in esame in via principale le strutture architettoniche e le strutture abitative  suggerisco in forma sintetica  passaggi importanti e , ineludibili per supportare le attività umane che coinvolgono gli attuali residenti e attrarre interesse di persone che hanno abbandonato il mondo rurale ma vorrebbero e saprebbero reinserirsi attivamente in esso:

    1. Studio  delle testimonianze scritte disponibili sull’ambiente e sulle attività svoltevi nel passato .Integrazione dei parametri mancanti con una lettura sinottica di testi disponibili sulla vita di comunità simili e coeve. Fondamentale sarà il riferimento al  Codice Forestale Camaldolese .

    2. Inventario delle attività svolte attualmente dai componenti delle comunità interessate.

    3. Inventario delle potenzialità umane e tecniche disponibili nel comprensorio e nelle zone limitrofe.

    4. Inventario dei fabbricati ad uso abitativo e/o artigianali già in uso o disponibili per attività lavorative.

    5 .Inventario dei “Giacimenti energetici” del sito: Ampiezza e tipologia dei boschi, Ampiezza e tipologia dei pascoli ricognizione delle superfici destinabili a coltivazioni, ricognizione sulle sorgenti idriche, ricognizione sulle eventuali disponibilità di  sottoprodotti da gestire per assicurare una autosufficienza energetica delle comunità. Valutazione della opportunità di introdurre metodi moderni di intercettazione e condivisione delle energie solari ed eoliche. L’utilizzo di fonti di energia rinnovabili dovrebbe consentire di puntare  ad una mobilità elettrica  all’interno dell’area e soprattutto la acquisizione di macchine operatrici agricole da utilizzare nei lavori agricoli, Vedi trattrici agricole elettriche e/o a guida autonoma ( da poco disponibili sul mercato)  .

    6. Approfondite valutazioni del microclima e scelte condivise di specie vegetali ed animali armoniosamente inseribili per aumentare la sostenibilità delle attività produttive nel sito  (Ad esempio coltivazione di varietà di cereali adattate o adattabili al clima oppure di piante officinali o aromatiche. Pascolamenti con ruminanti e avicunicoli al fine di rendere autosufficiente e fortemente caratterizzato il sito secondo modalità che consentano una crescita regimata deli turismo anche a scopi curativi

    7. Informatizzazione dei dati per consentire valutazioni, deduzioni e successive proposte alle Amministrazioni coinvolgibili.

    8. Realizzare Filiere produttive che consentano l’instaurazione di forme di economie circolari in cui non si generino scarti che diventano rifiuti da nascondere o propinare a terzi ne eccedenze che a sua volta diventino rifiuti. Propongo sin da subito alcune filiere di rapida costituzione perché forse già disponibili in loco persone con abilità comprovate e perché potrebbero intercettare più facilmente finanziamenti pubblici:                                                         La filiera del Pane ( dai cereali adatti al luogo alla conservazione e alla trasformazione in farina e pane in qualità e forma tipica e riconoscibile).

    La Filiera delle Leguminose “antiche” del tipo Roveja, Cicerchia,

    La filiera delle Erbe officinali che in questi ambienti potrebbero essere prodotte con certificazione da agricoltura bio. Essa dovrebbe comprendere anche le fasi di essiccazione, tranciatura e confezionamento e perché no l’estrazione per distillazione di oli essenziali.

    La filiera zootecnica fortemente caratterizzata da animali ruminanti in grado di utilizzare alimenti fibrosi e fortemente cellulosici anche sottoprodotti non altrimenti utilizzabili per alimentazione umana.

    Premessa a qualsivoglia filiera dovrebbe essere un Accordo di area tra produttori agricoli e allevatori per vincolare a forme di Coltivazione e Allevamenti solo secondo i dettami del biologico o della Agricoltura conservativa. Infine ultima ma assolutamente prima inter pares la filiera della informatizzazione premessa sia della commercializzazione al di fuori dell’area interessata e della comunità in essa insediata sia della realizzazione di attività ricreative, culturali e turistiche secondo programmazioni che impediscano il depauperamento ambientale. Si sottende che l’informatizzazione va rinforzata con un cablaggio in rete dell’intera area che attragga a vivere sul posto anche chi amando l’ambiente naturale voglia sviluppare attività informatiche”.

    Un progetto molto interessante e ben strutturato, non lasciando nulla al caso, il prof. Reda con la sua competenza ha creduto ad un grande opportunità per il nostro territorio montano.

    Maria Cristina Mosciatti

  • Murales di Zefiro e Aura

    Il Borgo dei Murales, conosciuto come la galleria d’arte a cielo aperto, si è arricchito di una nuova opera artistica terminata in questi giorni.  Gli artisti sono due ragazzi che vivono a Castelraimondo e nella loro vita quotidiana svolgono attività completamente diverse, hanno la passione non solo di dipingere, ma anche di comporre versi poetici che descrivono il dipinto da loro realizzato.

    Giovanni Perno, di origine Campane di Avellino ci illustra la sua opera: “la tecnica che ho utilizzato è principalmente bombolette a spray di acrilico, alternando la tecnica libera con l’utilizzo degli stencil” – invece Valeria di Martino la parte poetica, ci spiega la scelta di realizzare un Murales dedicato ai due venti primaverili “ci siamo ispirati alla Venere del Botticelli, dove sono raffigurati in un abbraccio i due venti. Li abbiamo raffigurati nell’angolo Zefiro, vento che preannuncia l’arrivo della bella stagione, accompagnato da Aura, che significa “brezza”– continua di Martino – l’idea di sospiro è dal respiro nasce la bellezza che è la Venere  intesa in senso universale come splendore della vita, è nata pensando ad un soffio di bellezza verso l’uomo, verso la persona”. Gli artisti oltre a lasciare la loro firma, hanno composto una frase: “Intrecci di vita, speranza fecondo di pace, soffio di bellezza su tutto ciò che è vivo. Vivi perché sei bella, sei bella perché vivi”

    Un Murales poetico, raffigurato con colori vivi intensi, primaverili, Zefiro dipinto sembra quasi vero il suo soffio con le “guance” gonfie danno l’idea di una reale folata di vento, dove, grazie ai particolari,  aiutano a comprendere il legame e la complicità presente tra i due venti.

    Un Murales figurativo dove l’interpretazione sarà soggettiva da parte di chi lo osserverà dando spazio alla fantasia di messaggi che potrebbe trasmette, al turista.

    Maria Cristina Mosciatti

  • Il Borgo di Braccano, è diventato un luogo turistico con una propria identità ed immagine, che ha superato qualsiasi aspettativa, i Murales e l’offerta naturalistica che lo circonda rappresenta senza alcun dubbio un aspetto, rilevante per una scelta turistica di nicchia.

    L’ informazione di Braccano, è divenuta fondamentale ed ha funzionato per un piccolo borgo con poco più di 110 residenti, la strategia di “conoscenza” dell’identità legata al web e ai social network è stata  uno strumento indispensabile  per il territorio. Identità, che è fortemente sostenuta dalla cultura e, quindi, dalle persone che vivono all’interno della comunità dove il turista interagisce.

    Oggi giorno, la promozione del territorio (marketing territoriale) ha assunto un ruolo fondamentale all’interno delle strategie di comunicazione turistica di qualsiasi luogo. L’obiettivo della promozione turistica del Borgo di Braccano,  è stato quello di aumentare il valore del territorio al fine di renderlo anche competitivo con altri territori, ma nello stesso tempo più  attrattivo possibile, grazie alla realizzazione, da parte di alcuni residenti, di un sito web https://braccano.jimdofree.com, che oggi ha superato le 21.000 visite, disponibile anche la versione mobile, collegandolo successivamente con le piattaforme dei social network come: Facebook Borgo di Braccano, Twitter, @MuralesBraccano, Instagram @borgoNaturainarte e  #braccano con 1878 post fotografici pubblicati, offrendo la possibilità di “apparire su internet”, considerando che in Italia il numero di persone che lo utilizzano abitualmente, nella fascia di età compresa fra i 16-74 anni, si aggira intorno al 56%, destinati ad aumentare.

    Sicuramente l’arte dei Murales, ha giocato un ruolo fondamentale come espressione artistica/ visiva di un territorio legato alle tradizioni locali, il viaggiatore contemporaneo, vuole scoprire i luoghi da visitare attraverso emozioni e sensazioni sentendosi parte di esso,  Instagram è il social ideale che svolge questo compito in modo impeccabile, grazie al coinvolgimento visivo.  Il Borgo di Braccano ha avuto e sta avendo la sua notorietà, anche, grazie a questo social che racconta il luogo attraverso le immagini  e le community presenti, offrendo così un’esperienza stimolante e ancor più accattivante per i viaggiatori che cercano una  meta diversa che può scaturire emozioni. La strada è ancora lunga, ma i Social Network sono strumenti straordinari in grado di accelerare il processo di sviluppo del turismo locale.

    A volte non è facile saper raccontare un territorio  per la sua vastità ed eterogeneità, ma un uso consapevole ed intelligente dei social media ha rappresentato una risposta positiva alla promozione dei luoghi caratteristici e artistici come il Borgo di Braccano.

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  • Gli animali selvatici hanno paura dell’uomo così come dei cani e la nostra presenza potrebbero terrorizzarli. Quindi non tentare di avvicinarti troppo, se avvisti un animale osservalo da lontano rimanendo sulla strada o sul sentiero che stai percorrendo. Evita rumori molesti, schiamazzi e musica ad alto volume, apprezza la tranquillità dei suoi abitanti.

    E’ assolutamente vietato dare da mangiare agli animali, sanno trovarlo autonomamente e, il nostro comportamento, anche se in buona fede, potrebbe risultare loro dannoso o addirittura fatale. E’ assolutamente vietato il foraggiamento a fini fotografici, purtroppo alcuni fotografi naturalisti, utilizzano questo metodo per poter catturare nel loro obiettivo l’animale, non rendendosi conto del grave danno che può arrecare allo stesso.

    A breve sarà primavera può capitare di vedere nell’erba, nel sottobosco o nei pressi del sentiero, dei piccoli di capriolo raggomitolati e immobili. Anche avvicinandoci, questi cuccioli restano fermi e non fuggono, ma attenzione, ciò non significa che siano feriti! Spontaneamente non si muovono per evitare di essere individuati da eventuali predatori, aiutati dal loro mimetismo, (colore del pelo, bruno chiaro e con le caratteristiche macchie bianche) e dall’assenza di odore. I PICCOLI NON VANNO TOCCATI! Se noi tocchiamo i cuccioli di questi, come di altri animali, essi rischiano di venire abbandonati dalla madre, che avverte il nostro odore e non riconosce il piccolo. Se individuate un piccolo capriolo vicino al sentiero o un centro abitato, segnalatelo ai Carabinieri Forestali e mantenetevi a distanza: la madre è sicuramente nelle vicinanze e, di tanto in tanto, torna dal cucciolo per l’allattamento e le cure.

    In caso di ritrovamento di animali feriti non toccarli, ma contattate i Carabinieri Forestali. Infatti in caso di ferimento gli animali possono diventare aggressivi, non è mai prudente avvicinarsi, nemmeno agli erbivori.

    Può anche capitare di trovare animali in difficoltà, feriti o morti. Ciò che succede alla fauna selvatica nel bosco  fa parte del naturale ciclo della vita e non richiede l’intervento dell’uomo. In ogni caso, è importante evitare di toccarli, non solo perché potrebbero trasferire malattie e parassiti, ma anche perché avvicinandoci potremmo spaventarli, peggiorare la loro situazione o addirittura venire attaccati. Segnate la posizione dove è stato avvistato l’esemplare e, avvisare i Carabinieri Forestali al numero 1515.

    A cura di Maria Cristina Mosciatti – Guida Naturalistica

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  • Purtroppo sempre più spesso si assiste alla raccolta “criminale” dei fiori e non solo in aree protette, senza avere la piena consapevolezza del grave danno che si sta compiendo.

    Un prato pieno di fiori selvatici è una fonte inesauribile di biodiversità e un’enorme risorsa per il ciclo alimentare di molte specie; dai piccoli insetti alle farfalle, alle api, fino agli uccelli e ai mammiferi e la scomparsa delle fioriture selvatiche sta mettendo a rischio un vero e proprio patrimonio naturale.

    La nascita di aree di tutela è dovuto anche a questo, molti non ne sono a conoscenza, ma nel 1974 la Regione Marche ha approvato la legge n° 52 denominata “Tutela degli ambienti naturali” che prevede, non solo la salvaguardia delle singole specie, ma anche la protezione dell’ambiente in cui esse vivono.

    Queste zone sono state tutelate con l’individuazione delle cosiddette Aree Floristiche Protette, prima ancora che nascessero i Parchi e le Riserve Naturali Regionali, tra i fiori di particolare pregio vengono menzionati: il Narciso e la Peonia presenti in modo significativo nella Riserva Naturale del Monte San Vicino e del Canfaito, la Genziana e la Genzianella presente nei Sibillini, specie officinali che purtroppo in alcune località sono scomparse per la raccolta indiscriminata da parte di “erboristi”, oppure varietà molto rare come  la Moehringia Papulosa, che cresce, sulle pareti rocciose di tre località delle Marche, l’Euforbia Arborescente del Monte Conero o il Bistorta del Pian Perduto. Purtroppo ci sono, alcune specie che i nostri nipoti potrebbero non vedere più come l’ Orchis Purpurea un’orchidea selvatica presente nei prati e boschi.

    Gli uomini non si rendono conto che nel momento in cui raccolgono un fiore di questo tipo, o peggio ancora lo calpestano (anche senza farlo a posta), creano un grave danno al nostro patrimonio naturale. Turisti ed abitanti del luogo prima di raccogliere un fiore in montagna dovrebbero dunque fermarsi per un attimo e riflettere sull’importanza del loro gesto apparentemente innocuo. Un esempio interessante viene dall’Alto Adige, all’avanguardia in campo ambientale rispetto ad altre regioni italiane. Oggi le sue praterie fiorite, con decine e decine di specie diverse, stanno ritornando alla bellezza di un tempo grazie a un’azione svolta dalla Regione per incentivare i contadini a metodologie di trattamento dei prati da foraggio per garantire la riproduzione delle fioriture di anno in anno e fornire, tra l’altro, un fieno di altissima qualità, per mucche che possono finalmente mangiar bene e sano.

    Le politiche di protezione ambientale locali abbinate a un programma informativo per la popolazione residente e i turisti, potrebbero dare buoni risultati, sarebbe importante anche per il nostro territorio organizzare delle iniziative nel periodo della fioritura con lo scopo di diffondere informazioni, sulla tutela della biodiversità floristica, facendo realmente comprendere che vi è il reale, rischio di estinzione di alcune specie.

    Maria Cristina Mosciatti

  • Tommaso Lippera nacque a Cerreto d’Esi il 14 dicembre del 1863, fu orfano di padre e già all’età di 14 anni manifestava idee anarchiche;  il suo carattere  ribelle lo portò, nel periodo dell’adolescenza, a cambiare spesso scuola, finchè riuscì a diplomarsi nel liceo classico di Camerino.

    Dopo la maturità, scelse la facoltà di medicina a Napoli, dove non nascose le sue idee politiche, anche perché in quel periodo nella città si stava organizzando un forte centro del movimento anarchico con diverse manifestazioni di protesta.

    Le sue idee erano ben radicate in quanto non credeva alle leggi dello Stato.

    Purtroppo dopo un anno di frequentazione (1882), a causa di una forte epidemia di colera a Napoli, si dovette trasferire all’Università di Bologna ed anche qui entrò in contatto con gruppi anarchici locali e conobbe Andrea Costa, considerato tra i fondatori del socialismo in Italia, al quale si avvicinò grazie ad Anna Kuliscioff che fu compagna del Costa per alcuni anni.

    Mentre il Lippera era un riformista, Andrea Costa  si oppose ai cambiamenti ed alla evoluzione del partito.

    Ancora studente, il Lippera ritorna spesso nel suo paese di origine e nel 1884 fondò a Cerreto d’Esi un “Circolo di Studi Sociali”, dove intraprese  uno scambio epistolare per rimanere in contatto con Andrea Costa (le lettere originali sono depositate presso la biblioteca comunale di Imola).

    Nella lettera inviata il 5 novembre del 1884, egli scriveva:

    “Onorevole Costa, desidererei sapere se sono state riprese le pubblicazioni del giornale l’Avanti! e nel caso negativo quando lo saranno.

                Nel caso affermativo poi consideratemi già abbonato e vi prego fin da ora rimettermi quei numeri unici dedicati ognuno ad un argomento speciale dei quali si facea  menzione nel  n.13 (Anno III) del giornale medesimo.

                In avvenire poi amerei ricevere tutto ciò che pubblicherà concernente l’interesse di detto giornale; di stare, in una parola, al corrente di quanto può interessarmi.

                Appena avuto un vostro riscontro farò il mio dovere.

                Sebbene i miei principi anarchici siano opposti a quelli propugnati dal giornale in discorso, pure amo tener dietro all’agitazione dei socialisti legalitari.

                Conto sulla vostra provata gentilezza e certo d’essere compiaciuto vi anticipo i più vivi ringraziamenti.  Tommaso Lippera“ .

    Originale della lettera

    Le sue idee anarchiche lo coinvolgevano molto da farlo entrare spesso in scontro con politici locali, infatti

    il 10 novembre 1886 entrò in conflitto con il sindaco di Cerreto d’Esi,  Francesco Morea.

    Questi  lo accusava di un articolo che il Lippera aveva scritto nel Messaggero e nel quale si era identificato, per tutta risposta il Lippera fece scrivere un manifesto e lo affisse nel paese.

    Manifesto che il Lippera fece affiggere

    La sua passione fu anche quella del giornalista e divenne  corrispondente di molti giornali nazionali: La Gazzetta di Torino, La questione sociale di Firenze e la Gazzetta operaia di Forlì

    Nel giornale “La Rivendicazione di Forlì” il 12 settembre 1888, ( Istituti culturali ed artistici della città di Forlì) parlò di alcuni pregiudizi sociali e del quale riporto alcuni tratti:

    ” Un pregiudizio molto diffuso fra il popolo è CHE LO SFRUTTAMENTO SIA UN MALE NECESSARIO …….. nella nostra società il cancro è l’abuso.Né l’istruzione , né l’educazione sottraggono al delitto…….Sì, fino a che vi saranno la fame, l’egoismo, la prostituzione e il governo, vi saranno furti, delitti ed abusi……dando a ciascuno i mezzi di vivere sparisce il furto………togliendo all’uomo la forza e il potere di soverchiare i propri simili, gli si toglie il mezzo per suscitare la gelosia, l’odio e gli altri bassi istinti sociali……Per dare all’uomo ed alla società il benessere e la pace, si ha solo il bisogno di gente che ragioni……”.

    Con la tesi: Criteri generali curativi nelle cardiopatie si laureò il 2 luglio del 1889 ed entrò nell’equipe del dott. Romolo Murri.

    Egli si considerò un privilegiato in quanto il Murri era già reputato un luminare della medicina marchigiana. Questi dopo un periodo di tirocinio inviava i medici della sua equipe nelle città o nei paesi dove c’era bisogno di medici condotti, ed inviò Tommaso Lippera per una sostituzione a Montemaggiore sul Metauro, nella provincia di Pesaro.

    In questa cittadina conobbe quella che sarebbe stata la sua futura moglie, la giovane Elisabetta Ciavarini, figlia del noto archeologo e storico di Ancona Carisio Ciavarini.

    Il suo amore per la terra natia non venne mai meno ed il 23 ottobre 1888 a Cerreto d’Esi  dovendosi rinnovare a termini di legge alcuni componenti della giunta comunale, vennero proposti Tommaso Lippera quale assessore effettivo e Ciarabalà Antonio quale assessore supplente.

    Tommaso Lippera venne eletto con 7 voti su 12, dando cosi inizio  al suo percorso di politico locale.

    Nel 1890 Tommaso Lippera uscì dal movimento anarchico ed entrò come precursore nel movimento socialista.

    Trovandosi nello stesso anno a San Costanzo come medico condotto, per promuovere la società operaia  pubblicò un volantino rivolto alle lavoratrici che il 7 aprile 1890 lesse al Teatro Concordia inaugurando la Bandiera della Società operaia femminile di Mutuo Soccorso di San Costanzo.

    Il volantino diceva:

    “ Guardate la vostra bandiera, lavoro delicato e prezioso dell’impareggiabile Diomira Falschi.

                Una fiducia viva e completa, una ferma speranza che finalmente un giorno la giustizia trionferà sul pregiudizio e sulla prepotenza. Ecco che cosa vi indica il bianco simbolo della fede e il verde emblema della speranza!

                Sì, speranza e fede nell’avvenire, e avanti!!…

                Operate in modo da smentire luminosamente l’epiteto di debolezza che viene applicato al vostro sesso; ma la vostra fortezza tragga origine da una coscienza pura e dalla certezza di combattere per una santa causa.

                Non vi avvilite se per struttura organica siete più deboli dell’uomo. Se egli rappresenta la forza non rappresentate voi forse il sentimento e la virtu?

                Non vi avvilite! E’ vero che oggi

                Ragazze, dipendete da genitori… spesso inumani,

                Spose, siete serve di vostro marito,

                Madri, avete dei padroni nei figli.

    Voi dovete comprimere, è vero i battiti del cuore, lasciare insoddisfatti i vostri bisogni, violentare la vostra stessa natura… Sì è così – voi trascinate da secoli questa obbrobriosa catena, ma sollevate arditamente la testa perché il giorno del vostro riscatto si avvicina, perché un nuovo vangelo – che è scienza e amore – v’assegna il vostro legittimo posto nella vita sociale.

                Senza di voi l’umanità non sarebbe.

    Voi avete quindi – naturalmente – gli stessi diritti dell’uomo

                Bambine, dovete trovare cure affettuose, tutela e istruzione prima dai parenti, poi dalla Società.

                Fanciulle, nessuno deve poter contrariare gl’impulsi del vostro cuore.

                Adulte, dovete poter disporre di voi stesse, come meglio vi piaccia.

                Madri, la stima, la solidarietà; nulla vi deve mancare.

                Produttrici, dovete essere indipendenti, dovete poter bastare largamente ai vostri bisogni.

                Impotenti al lavoro, la società dovrà mantenervi.

    Questa è la vostra redenzione, la quale non potrà essere fatta che dal movimento emancipatore moderno.

                Se volete affrettarla, abbracciate la vostra bandiera – bandiera di eguaglianza  e di libertà vera: – venite a combattere nelle nostre file.

                Educate i vostri figli, maschi e femmine, colla sola scorta della giustizia, del sentimento e del rispetto a se stessi ed agli altri.

    Educateli, liberi nel pensiero, nel lavoro e nelle azioni. Così formerete eroici campioni per le lotte dell’avvenire, e, se riusciremo a realizzare il nobilissimo ideale dell’eguaglianza sociale, lo dovremmo a voi membri di quel detto del grande Napoleone:

    Sul grembo della madre stanno i destini dell’avvenire”

    Stavano iniziando a maturare le prime idee socialiste e due anni dopo nel territorio pesarese iniziavano a crescere i consensi.

    Nel giornale locale “Lotta di classe” pubblicato il 3 settembre del 1892 è scritto:

    “I compagni di Fano, d’accordo col dott. Lippera e col prof. Paglierini, hanno stabilito di tenere qui una serie di conferenze per preparare la formazione di un forte partito socialista. La prima conferenza che sarà tenuta dal Paglierini o dal Lippera, avrà luogo, molto probabilmente, 18 settembre p.v.”, la sua convinzione e tenacia all’idea politica lo fece eleggere nel 1893 al direttivo nazionale del Partito Socialista.

    Quattro anni dopo, nel 1897,  Tommaso Lippera si candidò  alle lezioni regionali sia nel collegio di Fabriano sia in quello di Fano e solo per pochi voti non venne eletto, anche se prese più voti di Andrea Costa e Camillo Prampolini e ci fu una netta affermazione del partito socialista nelle Marche dove il  Lippera divenne consigliere provinciale.

    Negli anni successivi la sua vita politica iniziò attivamente anche a Cerreto d’Esi dove il 1 settembre 1902 venne eletto, per la prima volta, sindaco.

    Iniziando un percorso di crescita culturale e sociale  del territorio, come primo gesto dopo la sua elezione, fece pubblicare per la prima volta gli Statuti Comunali del 1537, che erano stati rinvenuti nell’archivio storico

    La pubblicazione fu curata da Carisio Ciavarini (storico di Ancona e suocero dello stesso Lippera)  che nella prefazione scrisse:

    “All’eccellentissimo dott. Tommaso Lippera – Sindaco di Cerreto d’Esi – a lei devo la scoperta degli Statuti di Codesto Comune, ed a Lei ne offro la stampa che ho risoluto di farne nella occasione del congresso internazionale di scienze storiche l’aprile prossimo a Roma. Voglia gradire l’offerta e l’augurio che in Cerreto l’amministrazione presieduta da Lei spiri quel potente soffio di vita moderna che lo elevi alle più nobili aspirazioni umane, e che io possa compilarne le memorie storiche per educarne le generazioni nuove all’amore del paese nativo e dell’Italia nuova. – Ancona, marzo 1903 – C. Ciavarini”

    Vivendo a Cerreto d’Esi, cominciò a pensare alla costruzione di una scuola elementare, in quanto i bambini che studiavano erano pochissimi e la maggior parte venivano impiegati nel lavoro agricolo mentre pochi erano quelli che potevano permettersi un’istruzione.

    Il Lippera credeva nel cambiamento culturale e nell’istruzione scolastica

    Nei primi del novecento  nel paese vi era una scuola elementare che aveva circa 40-60 bambini per classe e lui decise di fare delle classi più piccole in modo che i bambini potessero apprendere meglio e portò il corso di studi fino alla quinta elementare, anche se non obbligatoria, ed istituì le classi a tempo pieno e questo rappresentò un notevole cambiamento ed innovazione per l’Italia centrale.

    Nella facciata dell’edificio della nuova scuola elementare, ancora oggi visibile, vi fu scritto:   

    EDUCA, ISTRUISCI, SPERA

    Planimetria del progetto della scuola elementare

    La realizzazione della nuova scuola elementare fu approvata dal Consiglio comunale senza neanche un voto contrario e l’amministrazione capì l’importanza di far crescere nuove generazioni con una sana cultura capace di migliorare l’uomo e creare dei sani cittadini.

    In occasione di questa edificazione, Tommaso Lippera, pubblicò un libretto dove scrisse le linee guida:  egli affermava che nella scuola ci doveva essere la salute degli alunni, essi dovevano essere istruiti con gioia e non come una punizione, ci doveva essere abbondanza di acqua e di aria, una temperatura mite in ogni stagione e i banchi dovevano essere comodi.

    Da qui una critica allo Stato che dichiarava obbligatoria l’istruzione e lui si pose la domanda: “Chi ha fame, chi è nudo, chi è costretto ad aiutare fin dalla tenera età la propria famiglia e guadagnarsi una fetta di polenta, come può frequentare con assiduità la scuola e guadagnarci quei benefici effetti che faranno di lui un uomo degno della famiglia e della società?”

    Il Lippera considera l’analfabetismo “la causa prima della nostra inferiorità di fronte ai popoli civili”

    L’educazione spetta ai maestri che hanno un compito importante di educare non solo la mente ma anche il cuore, affinché vengano tolti dei vecchi pregiudizi e si possano creare delle menti pronte a ricevere idee nuove di umanità per una convivenza sociale.

    Nell’edificio scolastico erano stati previsti un museo ed una biblioteca. Doveva accogliere i “fanciulli” per l’asilo, le prime tre classi elementari maschili e femminili, ma anche le nuove classi che erano state recentemente istituite della quarta e della quinta mista.

    La scelta della posizione dell’edificio scolastico è stata attentamente valutata da Lippera, che ha considerato anche la notevole lontananza dal Cimitero,  la vicinanza dell’abitato, la sicurezza di accesso e anche gli spazi che dovevano essere organizzati con giardini, orti e la palestra coperta.

    La scuola è di forma rettangolare con due piani e un sotterraneo:

                Sotterraneo: cucina, fornelli, legnaia, fasciatolo, latrina per il personale; la dispensa, la cantina, il termosifone; i bagni a doccia per gli alunni delle scuole elementari e a immersione per i bambini dell’asilo.

                Piano terra con tre ingressi: uno principale con vestibolo, sala d’aspetto e del bidello che poteva controllare tutte le entrate e due secondarie per la separazione dei maschi e delle femmine dai bambini dell’asilo

    Ci sono anche due aule per le due sezioni; una grande sala per la refezione, le conferenze, le premiazioni.

    Due aule di cui una per il gioco dei bambini dell’asilo ; uno spogliatoio ed una camera per dormire per quei bambini che ne avessero bisogno; quattro latrine, con lavabo esposte a tramontana, distanti e separate dalle aule, con aria e luce diretta da più lati per una efficace ventilazione.

                Piano superiore: quattro aule, tre per le prime tre classi miste e l’altra per la quarta e la quinta; corridoio, museo e farmacia. Altre quattro latrine separate e indipendenti l’una dall’altra.

    Un particolare ed attento studio è stato fatto per le finestre:

    Particolare studio della finestra della scuola

    Le finestre munite di tende con movimento dal basso all’alto, come le porte, sono provviste nella parte superiore di vasistas che si aprono dall’interno per facilitare il cambiamento dell’aria che sarà coadiuvato da speciali camini di ventilazione e si potrà così abbassare la temperatura dei vani. Gli scolari ricevono la luce da sinistra a destra . Il pavimento è costruito in cemento per impedire il sollevarsi della polvere ed eseguire meglio la disinfestazione.

    Per dissetare gli alunni si è proposto di adottare il sistema di bere a garganella con getto inclinato collocando due vaschette nel corridoio di ciascun piano e una in giardino.

    Tale sistema oltre ad essere il più economico è anche quello che risolve il problema dell’igiene, escludendo il pericolo di contagio; l’ingestione di acqua è misurata, cosa molto importante nei periodi di grande caldo evitando malori gastro-intestinali.

    Il riscaldamento-ventilazione sarà effettuato con un termosifone a media pressione, il quale dà una temperatura costante, mite, gradevole.

    Contratto di appalto per la costruzione della nuova Scuola Elementare

    Per la costruzione della scuola,  fece abbattere degli alberi nel luogo prescelto, ma il termine dell’opera, ripiantò tanti alberi quanti ne aveva dovuti far abbattere e  organizzò, la festa degli alberi, forse una delle prime in Italia.

    Successivamente  fece anche costruire una piccola scuola nella vicina località di Cerquete .

    La sua attività politica negli anni successivi fu orientata anche a migliorare la qualità della vita dei cittadini. Vi erano spesso problemi di frane nelle strade e lui cercò di studiare un sistema per evitarle con non poche opposizioni da parte di chi già creava dei problemi per la buona gestione amministrativa.

    Nel periodo della sua carriera politica e medica, egli scrisse anche dei testi di notevole interesse locale e regionale.

    Criteri generali curativi nelle cardiopatie (Memoria originale dedicata ad Augusto Murri,)

    Bozzetti sociali,

    Le società operaie di Mutuo Soccorso,

    Phlegmasia alba dolens (Osservazioni cliniche e terapeutiche)

    Nel 1911 pubblicò “Rescritto di Papa Benedetto XIII, circa l’istituzione della fiera del 5, 6 e 7 agosto in Cerreto d’Esi

    Due anni dopo scrisse “La condotta sanitaria residenziale nella regione marchigiana” .

    In questo libro parla  della situazione sanitaria della nostra regione e riporta una serie di articoli che aveva già precedentemente pubblicato sulla Gazzetta Camerinese, mettendo in evidenza che la riforma sanitaria che doveva garantire i poveri e quelli che sono scritti nei Registri con medicinali gratuiti, doveva fare i conti con le scarse possibilità economiche dei comuni, con tutte le problematiche amministrative e mediche.

    Negli anni successivi il Lippera non fu più confermato come sindaco ed entrò a far parte dell’opposizione politica e così  iniziò, purtroppo ,il periodo più negativo della sua vita che lo portò alla morte.

    Fu arrestato il 28 marzo del 1918, insieme ad altri 9 cittadini cerretesi, accusati,  il 20 marzo del 1917, di tenere delle riunioni a casa del sig. De Luca Marcello, nelle quali facevano intervenire i militari in licenza,  considerata opera di sabotaggio della guerra e disfattismo, ed incitando i prigionieri a disertare .

    Successivamente il 4 febbraio del 1918 scoppiò a Cerreto d’Esi  una sommossa popolare nella quale si impedivano, anche con la violenza, come riporta la sentenza, le operazioni di requisizione del grano da parte delle autorità militari.

    Furono coinvolte circa 150 persone tra donne e ragazzi che avevano improvvisato una dimostrazione per impedire la partenza del camion militare con il grano requisito ed erano stati lanciati alcuni sassi contro la casa del Sindaco, il Sig. Morea.

    Due testimoni, che poi saranno definiti non attendibili, fecero il nome di Tommaso Lippera, capo del locale partito di minoranza. Il rapporto aggiunge che il Lippera aveva detto ad alcune donne del paese che la farina, ancora non arrivata a Cerreto, sarebbe stata di pessima qualità e si era accaparrata la stima della popolazione facendo ottenere licenze ai soldati. La sentenza riporta che nei mesi di settembre e ottobre 1917, in relazione al disastro di Caporetto, il Lippera incitava contro la guerra, esortando la popolazione a non seminare nei campi, a non sottoscrivere il prestito nazionale.

    Al termine del processo e dopo aver analizzato tutti i fatti venne emesse tale sentenza:

    chi aveva testimoniato contro il Lippera non poteva ritenersi attendibile in quanto:

    “Lippera e compagni sono state vittime di odii, rancori e piccinerie locali”

    Il tribunale deplorando le cause che li tradussero sullo scanno dei rei, deplorando i sistemi illeciti ed ingiustificabili che si resero strumento di tali cause odiose, proclama l’innocenza di tutti i dieci odierni imputati e li restituisce a quella libertà della quale essi non avevano abusato.

    Valga il doloroso spettacolo dell’accusa contro il Lippera e compagni, d’incitamento alla forte popolazione di Cerreto perché, smettendo piccole gare, facendo tacere nel nome d’Italia rancori e odi di partiti e di famiglie, ritempri l’animo per la resistenza alle aspre battaglie dell’ora che volge e per la preparazione a quella dell’avvenire, con l’osservanza di quella disciplina che, affratellando l’energie dei popoli, le prepara a finalità radiosi.

    E valga l’odierno procedimento a far considerare coloro, cui la legge affida pubbliche mansioni, che il peggiore dei disfattismi dell’energia di un popolo è dato da quei fatti che possono menomare nei cittadini il fermo convincimento che la giustizia punitiva si muove ad opera solo per reperire reati, e non per servire quale strumento di calunniose affermazioni a base di odi personali o di rivalità partigiane”

    Una sentenza che riconobbe il Lippera estraneo ai fatti insieme ai suoi nove compagni.

    Purtroppo in carcere si ammalò, e si sperò, che dopo aver ottenuto la libertà potesse riprendersi dall’umiliazione. Nonostante le cure più assidue il 21 gennaio 1919 si spegneva lasciando 7 figli nella maggior parte in tenera età.

  • Descrivi l’ultimo difficile “arrivederci” che hai detto.

    Sembrava un giorno come tutti gli altri, fuori pioveva a dirotto, non avrei mai immaginato che quella pioggia si fosse trasformata in assassina. Nel tardo pomeriggio mi arrivo’ un messaggio dove te, carissimo amico, non rispondevi al telefono. Furono attimi terribili, non ho avuto il coraggio di chiamarti, le successive ore nella speranza che te avessi risposto ad un messaggio o ad una telefonata, niente. I giorni successivi furono pieni di angoscia e speranza, poi quel messaggio che mi diceva che ti avevano ritrovato, immobile, agganciato ad un ramo immerso nell’acqua. Quell’acqua maledetta che ti aveva portato via da tutti noi, amici, famigliari, conoscenti. Quel maledetto 15 settembre, una data che non dimenticheremo…dove la pioggia assassina ha portato via tutto, anche la tua vita, carissimo amico mio. Ma quel giorno, non ti ho detto Addio ma , Arrivederci, si perché io ti rivedo nei nostri ricordi di quasi una vita passata insieme, nei tuoi messaggi che mai cancellerò, nelle foto scattate insieme, ma un giorno ti rivedrò e sarà come i vecchi tempi, ma questa volta sarà per l’eternità.

  • Il Globo di Matelica è stato casualmente scoperto dal matelicese e appassionato di archeologia Danilo Baldini, nel 1985, che ne intuì il valore grande valore archeologico. La prof.ssa Marengo, dell’Università di Macerata, definisce un onore averlo studiato, all’inizio misterioso, poi invece, man mano ha svelato i suoi segreti facendosi riconoscere come un orologio solare. “Sepolto e dimenticato per molto tempo, poi recuperato nel corso di alcuni scavi per i lavori pubblici, nel 1985 – continua la prof.ssa – in quell’occasione ho conosciuto Baldini che venne all’università chiedendo se ci fosse qualcuno interessato a questa sfera. Iniziai a studiare il globo, all’inizio non fu facile, in Italia è un pezzo singolare, l’unico confronto possibile che orientò la mia ricerca e che diede qualche risultato fu un oggetto simile ma non identico, rinvenuto in Grecia a Prosymna, che fu riconosciuto come orologio solare, ma anche come calendario mediante la lettura di diagrammi che ne ricoprivano la superfice. Nel caso del Globo di Matelica, il diagramma è uno solo, la funzione è la stessa, quella di costituire un contatore e un calendario. E’ un globo di marmo greco e di circa 29 cm , con una serie di forellini sul polo superiore ed un digramma sulla faccia anteriore, sono disegnate sullo stesso una linea orizzontale che corrisponde all’equatore che incrocia perpendicolarmente una linea meridiana verticale, la linea meridiana è anche il centro del primo del più piccolo dei tre cerchi che sono disegnati sulla sfera. Il polo inferiore della sfera non è perfettamente circolare risulta appiattito e si notano due fori uno più grande e l’altro più piccolo, legati ai perni che dovevano sostenere l’oggetto. Lo studio di questi termini si combina poi con lo studio delle lettere che si trovano sulla parte superiore della sfera sono a fianco a ciascuno dei forellini fino alla zona dell’equatore.  Sul diagramma e sui fori ci sono delle lettere singole che confrontati con le didascalie di altre meridiane sia del mondo greco, sia del mondo romano  dicono che queste lettere ci danno l’indicazione dei punti solstiziali, in alto il solstizio d’inverno in basso il solstizio d’estate. Sul cerchio esterno in alto si legge il nome dei due segni zodiacali del capricorno e in basso quello del cancro, questo ha consentito di leggere, anche le altre didascalie, che non sono sempre complete. Ci sono dei confronti grazie al globo di Prosymna, uno dei diagrammi è molto simile con una differenza che riguarda la posizione dei segni, per essere letto deve essere esposto a sud, invece il globo di Matelica per funzionare deve essere esposto a nord – continua la prof.ssa Marengo – Questo oggetto funziona come orologio se noi ci limitiamo ad osservare la serie di forellini nella parte superiore, per vederlo funzionare bisogna esporlo al sole in piena luce, vedremo che l’illuminazione crea delle ombre, che è l’indicatore della posizione, perché questo strumento funziona attraverso il terminatore d’ombra, il confine che si crea tra zona illuminata e zona al buio una volta che si è esposto correttamente con il diagramma verso nord, determinando lo scorrere delle ore. Poteva essere un giocattolo per uomini di cultura oppure avere delle applicazioni in alcuni abitati particolari, ci aiuta in questo lavoro di ricerca, l’iconografia., in quando mancano confronti. Possiamo solo immaginare che il globo, rinvenuto nel corso degli scavi possa essere appartenuto ad un uomo di cultura, capace di divertirsi a farlo funzionare oppure fare degli esperimenti, lo possiamo immaginare anche all’interno di una scuola, di un luogo dove s’insegna l’astronomia, dove un maestro educa al movimento degli astri attraverso la pratica con questo oggetto, simile ai planetari. Lo possiamo immaginare anche in un ambiente dove si potesse praticare l’astrologia. Ci auguriamo che dei futuri scavi nel luogo, a fianco del Palazzo del Governo, possano individuare qualche notizia in più sull’uso della sfera. Ancora non ci siamo riusciti, a dare una giusta datazione e al momento della scoperta si è pensato alla vicinanza con Ancona, importato e poi capitato a Matelica per una vicenda impossibile da ricostruire – continua l’intervento – ma questi oggetti hanno una lunga vita come progettazione e questa potrebbe risalire al II secolo avanti Cristo, anche se, la sua realizzazione potrebbe essere anche più recente. In quanto quello di Prosymna è molto più complesso rispetto al Globo di Matelica, la semplificazione è un segno di evoluzione, certamente il modello è più recente, ma non possiamo definire con certezza la datazione, l’ipotesi da me formulata è che questo oggetto non sia arrivato nella cittadina per caso. La lingua degli orologi solari era il greco, perché furono loro gl’inventori degli orologi solari e i romani avevano imparato a conoscerli e usarli attraverso gli esemplari greci che poi avevano copiato. Quello che posso, pensare, che il Globo possa essere stato costruito in Grecia, venduto e acquistato e distribuito a Matelica dove si è conservato, a differenza di altri che sono andati perduti. Matelica è un municipio romano, prima del 90 a.c. non conosciamo bene la sua realtà amministrativa, cominciamo a conoscere Matelica quando diviene Municipio Romano, dopo il 90, sicuramente ha avuto un momento di fioritura dall’età auguste in poi, questo da un punto di vista storico ci dà delle indicazioni, che corrispondono, allo studio della conoscenza di questi oggetti da parte del mondo romano. I romani a partire dalla riforma di Cesare, iniziano ad interessarsi alle meridiane. Un elemento interessante per capire che questi oggetti erano di moda nel I e II secolo dopo Cristo, ci sono una serie di meridiane all’interno della città di Roma che “parlano” greco. In questo momento d’interesse, collocherei anche il nostro Globo che daterei tra il I e il II secolo dopo Cristo.”

    Maria Cristina Mosciatti

  • Purtroppo le emergenze alluvionali e i dissesti idrogeologici che stiamo vivendo in questi ultimi mesi, premesso che non sono né un geologo né un tecnico del settore ed alcune situazioni andrebbero analizzate nel corso dei decenni, ci fanno riflettere e pensare, perché è vero che le alluvioni sono un fenomeno naturale che coinvolge il Pianeta sin da tempi remoti, ma l’azione dell’uomo ha contribuito a rendere questi disastri non solo più frequenti, ma anche più violenti.
    I fattori, più evidenti, che riguardano questi eventi sono tre:
    Un primo fattore è quello dell’aumento delle temperature, se consideriamo che dalla Rivoluzione Industriale a oggi, le emissioni di anidride carbonica e altri gas serra in atmosfera sono praticamente decuplicate, aumentando la temperatura mondiale media di quasi 1.5 gradi in più rispetto al periodo pre-industriale, con piogge più frequenti. Le nuvole sono sempre più cariche di acqua e determinano scariche violente, tanto che si parla di vera e propria “tropicalizzazione”. I fenomeni assomigliano sempre di più alle tempeste che normalmente colpiscono le aree tropicali, tanto che si è addirittura parlato di “monsoni mediterranei”.
    Un secondo fattore sono le modifiche dei vari corsi fluviali, in particolare verso fiumi importanti, con deviazione dei canali di irrigazione dei campi che con l’aumento delle piogge e dei temporali, l’acqua, non potendo sfruttare i suoi naturali canali di deflusso, si è accumulata fino a straripare.
    Un terzo fattore è l’urbanizzazione massiccia legata a piani regolatori non oculati e all’abusivismo edilizio le costruzioni, i terreni e i corsi di acqua che non sono più in grado di contenere o far defluire l’acqua in eccesso. Ciò determina delle frane più frequenti, poiché il terriccio saturo e friabile perde la sua funzione di contenimento sui profili montani, e lo straripamento violento dei corsi d’acqua.
    Secondo il Global Climate Risk Index del 2021, l’indice del rischio di crisi climatiche stilato ogni anno dalla no-profit tedesca Globalwatch, l’Italia è al trentacinquesimo posto mondiale in termini di probabilità di alluvioni devastanti.
    Ma cosa accade durante un’alluvione che porta agli eventi più tragici?
    Sebbene ogni singolo disastro ambientale presenti delle caratteristiche specifiche, si possono identificare dei fattori comuni:
    Pioggia: le precipitazioni copiose e insistenti portano in poche ore all’innalzamento dei livelli dell’acqua per fiumi e torrenti;
    Straripamento: i livelli dell’acqua salgono fino a superare gli argini di torrenti e fiumi, invadendo le aree circostanti;
    Detriti: la potenza dell’acqua sposta grandi quantità di detriti, come terriccio e massi, che iniziano ad accumularsi lungo il letto dei fiumi;
    Frane: il terreno ormai saturo di acqua, l’accumulo di detriti sui pendii di colline e montagne e l’energia liberata dalla pioggia determinano il distacco di grandi quantità di terreno fangoso. Queste si riversano violentemente a valle, trascinando nella loro caduta massi e alberi, che si riversano poi sulle abitazioni sottostanti.
    Le conseguenze di questo processo sono drammatiche per l’uomo, i piani bassi delle abitazioni possono essere invasi da acqua e fango, le frane e i massi possono portare al crollo di interi palazzi, mentre l’acqua che si è riversata su strada devasta automobili, autobus, segnaletica stradale.
    E’ un problema che ci spaventa, in quanto i climatologi, purtroppo, hanno confermato che piogge violente continueranno a verificarsi anche nei tempi a venire.
    Ma l’uomo può evitare alluvioni oppure limitarle?
    Emissioni di CO2: limitare le emissioni di CO2, rispettando ad esempio gli accordi di Parigi, entrato in vigore il 4 novembre 2016, con l’adempimento della condizione da parte di almeno 55 paesi che rappresentano almeno il 55% delle emissioni globali di gas a effetto serra. Tutti i paesi dell’Unione Europea hanno riconosciuto l’accordo, è il primo passo per ridurre l’aumento delle temperature e rendere meno insistenti tempeste e alluvioni;
    Lotta al dissesto idrogeologico: molte alluvioni si sarebbero potute evitare con piani mirati di lotta al dissesto idrogeologico, ad esempio con azioni rivolte di rafforzamento degli argini dei fiumi nelle aree più a rischio, la pulizia dei letti da detriti e blocchi, la ricanalizzazione dell’acqua in compensazione a impianti idrogeologici e di irrigazione costruiti parecchi decenni fa;
    Riforestazione: ripristinare i boschi al loro stato originale è la prima arma per ridurre il rischio di frane, poiché le loro radici hanno una vera e propria funzione strutturale di sostegno per i profili dei rilievi montuosi;
    Contrasto dell’abusivismo edilizio: la costruzione di edifici in aree vietate può alterare irrimediabilmente i normali percorsi dell’acqua, così come gli sfoghi naturali di fiumi e torrenti.
    Aggiungerei una maggiore sensibilità e monitoraggio da parte non solo degli amministratori ma anche dei cittadini, perché purtroppo spesso vengono autorizzati dei lavori di modifica dei territori vicino agli argini dei torrenti o fiumi senza avere la consapevolezza del luogo dove si va ad intervenire, modificando non solo l’aspetto naturalistico, abbattendo alberi secolari e vegetazione ripariale, ma andando a modificare l’habitat faunistico e ittiologico di quella specifica area che mai più sarà rispristinato, ecco l’importanza del cittadino come custode del proprio territorio pronto a denunciare, eventuali disastri ambientali “perenni”.

    Maria Cristina Mosciatti

  • Quest’anno il tanto atteso “foliage” nelle montagne del San Vicino e del Canfaito, a causa delle alte temperature nel mese di ottobre e dei primi giorni di novembre rischia di essere completamente assente, nonostante ciò, la faggeta del Canfaito, ancora verde, nelle ultime domeniche è stata presa letteralmente d’assalto dai turisti.

    In questi ultimi anni è di moda la parola “foliage”, non è una parola francese, ma un termine inglese che significa “fogliame”, mentre in italiano indica il cambiamento di colore delle foglie, prima di cadere. Fin dai tempi passati si andava a raccogliere le foglie lungo i viali o mentre si camminava in montagna affascinati dai colori meravigliosi: il rosso dello scotano, l’arancio dell’acero, il violetto dell’orniello, il giallo intenso del carpino, il marrone della quercia o il giallo con sfumature di marrone del faggio.

    Ma in questi ultimi 10 anni c’è stato un risveglio dell’uomo verso la natura? Oppure come cita nel libro “Sociologia della natura” di Cristina Mariani, è diventata una moda “fotografica” che si rincorre sui social a chi riceve più like o commenti, senza assaporarne il vero valore cromatico del bosco? Molto probabilmente, analizzando i vari post scorrendo sui social la risposta è lampante: è solo una moda e purtroppo a causa del cambiamento climatico nell’immediato futuro, cesserà e, forse, chi andrà a camminare in montagna lo farà per trovare silenzio e contatto con la natura.

    Facciamo un breve ripasso: il colore verde delle piante è dato dalla clorofilla, una sostanza presente in grande quantità nelle foglie nel periodo primaverile ed estivo, è il più importante per la produzione degli zuccheri che alimentano e fanno crescere la pianta. La clorofilla assorbe la luce del sole e la utilizza come fonte di energia. Il fatto che in autunno le ore di luce diminuiscano ha effetti anche sulla fotosintesi clorofilliana, che rallenta e le piante ne producono sempre meno. La minore quantità di clorofilla verde fa sì che si manifestino anche altri pigmenti, già presenti nella foglia ma mascherati dall’abbondanza di clorofilla. Ecco, allora, che in autunno le foglie iniziano a mostrare vivaci colorazioni gialle, arancioni, rosse o marroni ed ogni tipo di albero assumerà una colorazione diversa proprio in base ai pigmenti contenuti dalle sue foglie e al grado di diminuzione della clorofilla.  Purtroppo quest’anno il “cambiamento di colore” c’è stato in modo “sbiadito” alcune foglie sono ancora verdi, le temperature più calde e le precipitazioni più pesanti stanno mantenendo le foglie verdi più a lungo, mentre gli eventi meteorologici estremi; come le ondate di calore, le alluvioni, la riduzione della velocità dei venti, che preserva l’umidità del terreno prolungano il periodo vegetativo delle piante. Ciò significa che “diventano marroni” prima che abbiano la possibilità di scomporre i loro colori verdi per esporre il giallo e l’arancione e prima che abbiano la possibilità di sviluppare colori rosso per specie come l’acero o lo scotano.

    Il problema, avrà importanti conseguenze sull’assorbimento di anidride carbonica atmosferica, questo è emerso dall’analisi dei dati degli ultimi 34 anni, raccolti e vagliati da un gruppo di ricerca internazionale guidato da Chaoyang Wu dell’Accademia Cinese delle Scienze, non solo, ci fu un allarme partito dagli Stati Uniti nel 2016 quando Andy Finton, ecologo forestale della Nature Conservancy, Massachusetts si accorse che in autunno i colori, erano più sbiaditi a causa del leggero aumento della temperatura e in particolare, a detta degli esperti, il cambiamento climatico starebbe opacizzando i colori e ritardando l’alta stagione, causando preoccupazione per il turismo del cosiddetto “leaf-peeping”  (letteralmente “foglia che fa capolino”) espressione utilizzata come attività legata alle gite per vedere il tipico foliage.

    L’effetto del cambiamento climatico è inarrestabile, anche nel nostro territorio è visibile; eppure, la maggior parte ancora non ne ha la consapevolezza, si continua ad ignorare, i segnali arrivano, io stessa avevo percepito che, sarebbe stata una diversa stagione autunnale, perché camminando nei sentieri avevo notato foglie di piante accartocciate, come lo scotano per la mancanza di acqua, fa preoccupare anche,  la probabilità di incendi che potrebbero verificarsi.

    La speranza è che le piogge di questi giorni o un imminente inverno possa far recuperare la situazione vegetativa, in quanto l’aumento delle temperature non è un fatto “fotografico” di non vedere  il “foliage”, ma potrebbe comportare nei futuri anni, la scomparsa di alcune specie vegetali autoctone tipiche del nostro appennino con la diminuzione di produzione di ossigeno necessario per la sopravvivenza. Basti pensare che ogni albero produce in media 20 – 30 litri di ossigeno al giorno, ogni uomo necessita in media 300 litri di ossigeno al giorno per vivere sano, riflettiamo sulle conseguenze che porterebbe in futuro, considerando che le  querce, il faggio e l’ acero sono in cima alla lista per il rilascio di ossigeno.

    Maria Cristina Mosciatti

  • “Le Api di Rotis” è stato il titolo del secondo incontro, nella sede del Comitato Feste di Braccano, nell’ambito di MarcheStorie, dove Pierluigi Pierantoni presidente dell’Associazione Apicoltori Montani, ha illustrato con un video la particolarità e il pregio di questo insetto nel territorio di Roti e del San Vicino.

    Un’ape che è divenuta protagonista, negli ultimi decenni grazie alla sua immunità legata all’acaro della varroa; un’ape che diverse Università stanno studiando e valorizzando attraverso la ricerca della motivazione di questa particolarità esistente solo in territori unici e, al mondo attualmente di ceppi apistici simili ne esistono solo dieci. Quando, nel 2006, nell’Abbazia di Roti, si trovò, per caso, uno sciame di Apis mellifera, questo fu recuperato e esaminato attentamente, si notò, subito che c’era qualcosa di diverso perché  le api erano docili e non erano malate di varroa, dando origine ad un ecotipo unico, chiamato poi “Rotis”.

    Sono talmente importanti che hanno scelto, la data del 20 maggio per celebrare in tutto il mondo la giornata mondiale delle api, istituita dall’ONU per sottolineare l’importanza di questi insetti per il mantenimento della biodiversità. L’uso di pesticidi in agricoltura e l’aumento dell’inquinamento, hanno causato una riduzione enorme nel numero di questi insetti nel mondo. Le api sono infatti fortemente a rischio per via dei cambiamenti climatici e per l’enorme impatto dell’uomo sull’ambiente.

    Un elogio a Pierantoni e al suo gruppo che da decenni si stanno dedicando alle api, con corsi e convegni affinché sempre più persone possano avvicinarsi al mondo apistico, comprendendo l’importanza che ha questo piccolo esserino per la specie umana.  Un lavoro certosino di valorizzazione e di protezione e quando Pierantoni parla delle Api si nota una grande passione e forte emozione.

    Terminato l’incontro Pierluigi ha preparato la degustazione di due mieli particolari: Il miele del San Vicino e la melata delle Api di Rotis, ovviamente i partecipanti oltre ad apprezzare l’interessante relazione hanno anche molto apprezzato la degustazione.

    Maria Cristina Mosciatti

  • La Scarzuola si trova in Umbria in provincia di Terni. È conosciuta per l’antico convento dove, secondo tradizione, avrebbe dimorato san Francesco d’Assisi, e per la villa sotto forma di “città-teatro”, concepita e costruita nel ventesimo secolo dall’architetto milanese Tomaso Buzzi come personale interpretazione del tema della città ideale, ha impiegato 60 anni per realizzarla. Arriviamo al mattino verso le 10 ci accoglie Marco, nipote dell’architetto, che ci guida e racconta questo luogo veramente incredibile. Una vera e propria galleria architettonica a cielo aperto. Il giro è di circa due ore, merita una visita perché è unico nel suo genere…giudicate voi dalle immagini.

  •  “Il Carbonaio, storia e tradizione di un ambientalista ante litteram” è il titolo del convegnodi apertura del pomeriggio di venerdì 9 settembre dell’evento MarcheStorie .

    Dopo il saluto del Sindaco, Massimo Baldini e dell’Assessore al turismo Maria Boccaccini,  i tre relatori: prof. Andrea Spaterna del Parco dei Monti Sibillini, il prof. Andrea Catorci dell’Università di Camerino facoltà di Scienze Naturali e il dott. Matteo Cicconi della Riserva Naturale del Monte San Vicino e del Canfaito si sono confrontati in un dibattito molto interessante riguardante la figura del carbonaio e il rapporto con l’ambiente, toccando, inevitabilmente,  l’argomento del cambiamento climatico legato alla crisi energetica.

    Un excursus storico del mestiere, al quanto faticoso e complesso tramandato di padre in figlio considerata, un’arte non semplice e di grandi sacrifici, chi sceglieva il mestiere del Carbonaio, attività fiorente non solo a Braccano ma in molte zone della fascia appenninica, era consapevole del sacrificio che andava incontro.

    Come evidenzia il prof. Catorci : ”La scelta del legname era importante affinché la resa del carbone fosse al massimo del rendimento, le giornate a costruire la carbonaia e rimanere nel sito per controllare il fuoco affinché con il vento che arrivava all’improvviso, non si spegnesse. Un uomo importante per il territorio perché manteneva in vita il bosco, lo tutelava, un vero e proprio custode di rispetto per il territorio, in quanto il carbone o la legna era l’unico mezzo di riscaldamento e di cottura dei cibi”.

    “La figura del carbonaio è anche, molto attuale” e, ironicamente, i relatori hanno evidenziato che forse dovremmo ritornare a questa pratica di riscaldamento, visto i recenti rincari energetici del gas e luce.

    Anche se ciò accadrebbe, oggi ritornare al consumo del carbone, non è fattibile, in quanto persone “esperte” per la manutenzione e il taglio del bosco sono molto poche e i boschi appartengono alla maggior parte al demanio forestale con tutte le limitazione legate alla salvaguardia ambientale e boschiva. 

    L’incontro ha visto la partecipazione di persone che hanno dato vita ad un dibattito interessante e riflessivo, non solo verso la figura, riscoperta, del carbonaio che molti non conoscevano, ma anche verso una situazione critica energetica che presto si dovrà affrontare con tanti dubbi e incertezze per il futuro.

    Maria Cristina Mosciatti

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