MONACI DI SANTA MARIA DE ROTIS: AMBIENTALISTI ED ECOLOGISTI

L’associazione “Organizzazione di Volontariato Roti” continua ad essere attiva coinvolgendo nel proprio progetto professionisti, che apprezzano l’area naturalistica della valle di Roti. Il prof. Natele Reda, agronomo e collaboratore della Politecnica delle Marche ha realizzato, uno studio molto interessante del territorio sia da un punto di vista storico che agronomico.

Il prof. Reda si riferisce definendo “Le attività umane intorno a Rotis ebbero certamente un impulso caratterizzante da parte dei monaci (Benedettini) che intorno al  IX e X secolo si installarono nel sito e incisero sul paesaggio forestale e rurale provocando radicali trasformazioni della economia degli indigeni.                     

Non sappiamo come fosse l’ambiente in epoca romana antecedente alla realizzazione del manufatto di Rotis tuttavia facendo fede a quanto già noto grazie alla disponibilità di manoscritti  dedicati agli eventi e alle opere in siti similari delle alte colline marchigiane  possiamo immaginare che a  Rotis  (così  come a Camaldoli o a Fonte Avellana)  si eseguirono disboscamenti, dissodamenti e bonifiche per mettere in  coltivazione terreni di superfici adeguate a fornire nutrimento sufficiente per la comunità ivi vivente. Sappiamo per certo che vennero applicate  tecniche  innovative di gestione delle attività agro-silvo-pastorali  e che anche i rapporti sociali vennero poco a poco adeguati al fine di dare nuova dignità a uomini e donne che fino ad allora erano statii considerati homines de terra o ancor peggio mancipia .

I monaci di Rotis così come quelli dei vari  monastirium  che sorsero lungo la dorsale dell’Appennino tosco-umbro marchigiano riuscirono a gestire  le risorse energetiche, alimentari  e culturali disponibili organizzando comunità di agricoltori- allevatori-artigiani in equilibrio dinamico e resiliente senza acquisire input energetici esterni. Scoprirono ed integrarono le risorse del sito senza sminuire le possibilità di uso nelle epoche successive. Equilibrio e resilienza consentirono una discreto tenore di vita e soddisfacenti attività produttive  anche negli anni successivi all’abbandono del sito da parte della famiglia monastica e cioè almeno fino al XVI secolo. La famiglia di religiosi che si installò  a Rotis come altrove  utilizzò coscienziosamente la foresta tanto che non solo  non ne esaurirono le risorse a favore della generazione vivente ma incrementarono la fecondità dei vegetali che la costituivano  e degli animali che  naturalmente la popolavano . Si può, dunque, affermare che, mostrarono di saper gestire con accortezza tutte le ricchezze che le foresta accumula  sfruttando l’energia solare e i nutrienti disponibili  nell’ambiente edafico .Le coltivazioni di vegetali per uso nutrizionale e gli sfruttamenti delle selve a fini connessi con la vita dell’uomo ( legname da ardere e da opera, erbe per allevamenti animali ) vennero attuate secondo ritmi naturali  senza creare nella comunità indigena gravi carenze o  ingestibili surplus. Lasciarono l’ambiente non degradato, lo rispettarono e lo amarono intuendo che avrebbe dovuto ospitare e saziare molte generazioni che sarebbero seguite. Quando la comunità monastica abbandonò Rotis la spiritualità che animava i religiosi ed non poté più orientare le attività produttive che non essendo più inquadrate in un contesto di rispetto del Creato procedettero senza razionalità.  Infine la discreta asprezza dell’ambiente, la lontananza da grandi vie di comunicazione e  la ristretta disponibilità di risorse facilmente sfruttabili convinse  agricoltori e allevatori a trasferirsi in ambienti in cui il lavoro della terra venisse meglio ripagato. L’insieme di questi fattori ha favorito la conservazione della associazione di erbe e piante spontanee. La minore pressione delle attività umane  ha consentito di mantenere elevati livelli di naturalità dell’ area ,di purezza delle acque sorgive e della terra” – continua il Prof. Reda riferendosi ad un attuale progetto di fattibilità – “Il sistema produttivo agro-silvo- pastorale istituito e gestito per secoli dai benedettini è esempio di gestione multifunzionale flessibile e durevole .oggi lo definiremmo sostenibile, poiché la mia disciplina NON deve prendere in esame in via principale le strutture architettoniche e le strutture abitative  suggerisco in forma sintetica  passaggi importanti e , ineludibili per supportare le attività umane che coinvolgono gli attuali residenti e attrarre interesse di persone che hanno abbandonato il mondo rurale ma vorrebbero e saprebbero reinserirsi attivamente in esso:

1. Studio  delle testimonianze scritte disponibili sull’ambiente e sulle attività svoltevi nel passato .Integrazione dei parametri mancanti con una lettura sinottica di testi disponibili sulla vita di comunità simili e coeve. Fondamentale sarà il riferimento al  Codice Forestale Camaldolese .

2. Inventario delle attività svolte attualmente dai componenti delle comunità interessate.

3. Inventario delle potenzialità umane e tecniche disponibili nel comprensorio e nelle zone limitrofe.

4. Inventario dei fabbricati ad uso abitativo e/o artigianali già in uso o disponibili per attività lavorative.

5 .Inventario dei “Giacimenti energetici” del sito: Ampiezza e tipologia dei boschi, Ampiezza e tipologia dei pascoli ricognizione delle superfici destinabili a coltivazioni, ricognizione sulle sorgenti idriche, ricognizione sulle eventuali disponibilità di  sottoprodotti da gestire per assicurare una autosufficienza energetica delle comunità. Valutazione della opportunità di introdurre metodi moderni di intercettazione e condivisione delle energie solari ed eoliche. L’utilizzo di fonti di energia rinnovabili dovrebbe consentire di puntare  ad una mobilità elettrica  all’interno dell’area e soprattutto la acquisizione di macchine operatrici agricole da utilizzare nei lavori agricoli, Vedi trattrici agricole elettriche e/o a guida autonoma ( da poco disponibili sul mercato)  .

6. Approfondite valutazioni del microclima e scelte condivise di specie vegetali ed animali armoniosamente inseribili per aumentare la sostenibilità delle attività produttive nel sito  (Ad esempio coltivazione di varietà di cereali adattate o adattabili al clima oppure di piante officinali o aromatiche. Pascolamenti con ruminanti e avicunicoli al fine di rendere autosufficiente e fortemente caratterizzato il sito secondo modalità che consentano una crescita regimata deli turismo anche a scopi curativi

7. Informatizzazione dei dati per consentire valutazioni, deduzioni e successive proposte alle Amministrazioni coinvolgibili.

8. Realizzare Filiere produttive che consentano l’instaurazione di forme di economie circolari in cui non si generino scarti che diventano rifiuti da nascondere o propinare a terzi ne eccedenze che a sua volta diventino rifiuti. Propongo sin da subito alcune filiere di rapida costituzione perché forse già disponibili in loco persone con abilità comprovate e perché potrebbero intercettare più facilmente finanziamenti pubblici:                                                         La filiera del Pane ( dai cereali adatti al luogo alla conservazione e alla trasformazione in farina e pane in qualità e forma tipica e riconoscibile).

La Filiera delle Leguminose “antiche” del tipo Roveja, Cicerchia,

La filiera delle Erbe officinali che in questi ambienti potrebbero essere prodotte con certificazione da agricoltura bio. Essa dovrebbe comprendere anche le fasi di essiccazione, tranciatura e confezionamento e perché no l’estrazione per distillazione di oli essenziali.

La filiera zootecnica fortemente caratterizzata da animali ruminanti in grado di utilizzare alimenti fibrosi e fortemente cellulosici anche sottoprodotti non altrimenti utilizzabili per alimentazione umana.

Premessa a qualsivoglia filiera dovrebbe essere un Accordo di area tra produttori agricoli e allevatori per vincolare a forme di Coltivazione e Allevamenti solo secondo i dettami del biologico o della Agricoltura conservativa. Infine ultima ma assolutamente prima inter pares la filiera della informatizzazione premessa sia della commercializzazione al di fuori dell’area interessata e della comunità in essa insediata sia della realizzazione di attività ricreative, culturali e turistiche secondo programmazioni che impediscano il depauperamento ambientale. Si sottende che l’informatizzazione va rinforzata con un cablaggio in rete dell’intera area che attragga a vivere sul posto anche chi amando l’ambiente naturale voglia sviluppare attività informatiche”.

Un progetto molto interessante e ben strutturato, non lasciando nulla al caso, il prof. Reda con la sua competenza ha creduto ad un grande opportunità per il nostro territorio montano.

Maria Cristina Mosciatti

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