
Quest’anno il tanto atteso “foliage” nelle montagne del San Vicino e del Canfaito, a causa delle alte temperature nel mese di ottobre e dei primi giorni di novembre rischia di essere completamente assente, nonostante ciò, la faggeta del Canfaito, ancora verde, nelle ultime domeniche è stata presa letteralmente d’assalto dai turisti.
In questi ultimi anni è di moda la parola “foliage”, non è una parola francese, ma un termine inglese che significa “fogliame”, mentre in italiano indica il cambiamento di colore delle foglie, prima di cadere. Fin dai tempi passati si andava a raccogliere le foglie lungo i viali o mentre si camminava in montagna affascinati dai colori meravigliosi: il rosso dello scotano, l’arancio dell’acero, il violetto dell’orniello, il giallo intenso del carpino, il marrone della quercia o il giallo con sfumature di marrone del faggio.
Ma in questi ultimi 10 anni c’è stato un risveglio dell’uomo verso la natura? Oppure come cita nel libro “Sociologia della natura” di Cristina Mariani, è diventata una moda “fotografica” che si rincorre sui social a chi riceve più like o commenti, senza assaporarne il vero valore cromatico del bosco? Molto probabilmente, analizzando i vari post scorrendo sui social la risposta è lampante: è solo una moda e purtroppo a causa del cambiamento climatico nell’immediato futuro, cesserà e, forse, chi andrà a camminare in montagna lo farà per trovare silenzio e contatto con la natura.
Facciamo un breve ripasso: il colore verde delle piante è dato dalla clorofilla, una sostanza presente in grande quantità nelle foglie nel periodo primaverile ed estivo, è il più importante per la produzione degli zuccheri che alimentano e fanno crescere la pianta. La clorofilla assorbe la luce del sole e la utilizza come fonte di energia. Il fatto che in autunno le ore di luce diminuiscano ha effetti anche sulla fotosintesi clorofilliana, che rallenta e le piante ne producono sempre meno. La minore quantità di clorofilla verde fa sì che si manifestino anche altri pigmenti, già presenti nella foglia ma mascherati dall’abbondanza di clorofilla. Ecco, allora, che in autunno le foglie iniziano a mostrare vivaci colorazioni gialle, arancioni, rosse o marroni ed ogni tipo di albero assumerà una colorazione diversa proprio in base ai pigmenti contenuti dalle sue foglie e al grado di diminuzione della clorofilla. Purtroppo quest’anno il “cambiamento di colore” c’è stato in modo “sbiadito” alcune foglie sono ancora verdi, le temperature più calde e le precipitazioni più pesanti stanno mantenendo le foglie verdi più a lungo, mentre gli eventi meteorologici estremi; come le ondate di calore, le alluvioni, la riduzione della velocità dei venti, che preserva l’umidità del terreno prolungano il periodo vegetativo delle piante. Ciò significa che “diventano marroni” prima che abbiano la possibilità di scomporre i loro colori verdi per esporre il giallo e l’arancione e prima che abbiano la possibilità di sviluppare colori rosso per specie come l’acero o lo scotano.
Il problema, avrà importanti conseguenze sull’assorbimento di anidride carbonica atmosferica, questo è emerso dall’analisi dei dati degli ultimi 34 anni, raccolti e vagliati da un gruppo di ricerca internazionale guidato da Chaoyang Wu dell’Accademia Cinese delle Scienze, non solo, ci fu un allarme partito dagli Stati Uniti nel 2016 quando Andy Finton, ecologo forestale della Nature Conservancy, Massachusetts si accorse che in autunno i colori, erano più sbiaditi a causa del leggero aumento della temperatura e in particolare, a detta degli esperti, il cambiamento climatico starebbe opacizzando i colori e ritardando l’alta stagione, causando preoccupazione per il turismo del cosiddetto “leaf-peeping” (letteralmente “foglia che fa capolino”) espressione utilizzata come attività legata alle gite per vedere il tipico foliage.
L’effetto del cambiamento climatico è inarrestabile, anche nel nostro territorio è visibile; eppure, la maggior parte ancora non ne ha la consapevolezza, si continua ad ignorare, i segnali arrivano, io stessa avevo percepito che, sarebbe stata una diversa stagione autunnale, perché camminando nei sentieri avevo notato foglie di piante accartocciate, come lo scotano per la mancanza di acqua, fa preoccupare anche, la probabilità di incendi che potrebbero verificarsi.
La speranza è che le piogge di questi giorni o un imminente inverno possa far recuperare la situazione vegetativa, in quanto l’aumento delle temperature non è un fatto “fotografico” di non vedere il “foliage”, ma potrebbe comportare nei futuri anni, la scomparsa di alcune specie vegetali autoctone tipiche del nostro appennino con la diminuzione di produzione di ossigeno necessario per la sopravvivenza. Basti pensare che ogni albero produce in media 20 – 30 litri di ossigeno al giorno, ogni uomo necessita in media 300 litri di ossigeno al giorno per vivere sano, riflettiamo sulle conseguenze che porterebbe in futuro, considerando che le querce, il faggio e l’ acero sono in cima alla lista per il rilascio di ossigeno.
Maria Cristina Mosciatti

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