L’importanza della tradizione e della cultura nel nostro territorio

La perdita della memoria, delle lingue dialettali, la mancata attenzione verso le tradizioni locali (leggende, nomi, riti, canti, figurazioni della morte) o dei lavori tipici, rischia di far disperdere il trascorso di queste terre perdendo un tesoro culturale immenso. L’Associazione Roti nel suo programma di riqualificazione e valorizzazione ha voluto fortemente inserire l’importanza e la tradizione culturale presente nel territorio, per iniziare questo percorso di ricerca e rieducazione, ha organizzato un incontro on line, domenica 18 aprile: “Le antiche usanze e parlate del territorio montano” con l’Ing Ennio Donati, studioso e grande conoscitore delle tradizioni che da qualche anno si sta occupando di un nuovo progetto di studi e di letteratura che è il “Glossario del dialetto matelicese”, moderatore della serata è stato Leonardo Animali.
“L’Abbazia di Roti non è solo un reperto fisico, archeologico – introduce Donati – ma un insieme di territorialità, di cultura, le antiche usanze ed il dialetto non è una cultura “degenere” lontana dai centri abitati. La civiltà contadina è stata fondamentale intorno alle Abbazie, le tradizioni popolari, le antiche usanze sono da nobilitare, perché fondano le loro radici su aspetti sacrali, spesso mistici che fanno parte anche della religiosità popolare e si fondano sull’osservazione della natura, sulla paura dalla quale ci si doveva difendere. Il dialetto della campagna sembra che si sia perso nel tempo, perché ha prevalso quello della città che si è poi deformato, ma il vero dialetto è quello della campagna. Quando parliamo di antiche usanze iniziando a parlare della morte, questa ha sempre suscitato paura, in particolare il presagio della morte, come il cantare della civetta o il latrare di un cane in prossimità di un moribondo significava che la persona era dedita alla bestemmia oppure quando moriva una persona si bruciava il “pagliariccio” e con apprensione si andava a vedere dove si dirigeva il fumo, perché se si dirigeva verso una casa, questa sarebbe stata oggetto di un lutto. L’agonia era piena di considerazioni, di sacralità dalla parte di superstizioni, un’altra credenza era quella che l’anima dovesse dipartirsi dal luogo dove era avvenuto il decesso e allontanarsi velocemente, si metteva il letto con le travi parallele mai trasversali. Anche i gioghi (attrezzo utilizzato per l’attacco dei bovini) non si bruciavano mai, perché si pensava che potesse avere sofferenza prima della morte, questa superstizione è legata al rispetto del lavoro e di conseguenza gli oggetti acquisiscono un carattere sacrale. Il fidanzamento aveva le sue tradizioni, ci s’incontrava di nascosto o in poche occasioni, nel lavoro dei campi o nelle rare feste. Quando due persone si fidanzavano ufficialmente comparivano insieme la domenica alla messa, solo in questo giorno perché non si poteva togliere il lavoro nei campi, gli altri giorni erano proibiti, la credenza suggeriva che si andava incontro alle streghe, anche questa è legata al rispetto del lavoro. Nel matrimonio era importante la “dote” della donna che andava ad abitare nella casa del marito. Tutti gli indumenti indicati in un elenco, si riponevano in una cassa: un boccale per l’acqua, un catino e un ”oriale” la cassa veniva coperta con un lenzuolo appuntato con spille da balia, queste venivano rubate a tutte le ragazze nubili perché considerato di buon auspicio per il loro futuro matrimonio. Il corteo matrimoniale era caratteristico, si utilizzava un carro agricolo, forse a causa delle strade non molto agevoli e un’antica usanza utilizzata nel territorio di Matelica e nei paesi vicini, era “La sbarra” durante il corteo prima di entrare in chiesa all’improvviso spuntava un timone di un attrezzo agricolo oppure una corda, gli sposi si fermano e i vicini regalavano un dolce e un po’ di vino. Altre tradizioni legate al matrimonio; le persone vedove che si risposavano, si riconoscevano dalla scampanata. – continua Donati – anche la nascita veniva considerata un momento importantissimo per la crescita della famiglia, molte superstizioni legate all’evento, la “puerpera” non doveva mettersi al collo matasse di lana o di cotone che stava filando, non doveva attraversare le catene, venivano considerate di cattivo augurio per la futura nascita del bambino. Al momento della nascita, la placenta veniva gettata in un fiume di buon augurio per il latte della mamma e il cordone ombelicale si murava in una fessura, se era un maschio in una stalla, se era una femmina in cucina. Il primo bagno del bambino, era un rito sacrale: nell’acqua si metteva un foglio della bibbia, se si voleva indirizzarlo alla carriera ecclesiastica, oppure un corno di bue o il rametto di ulivo per l’amore del lavoro in campagna, una moneta d’oro o argento indice di abbondanza, lo zampetto di lepre per poter camminare prima possibile. La maggior parte delle superstizioni vengono da molto lontano dagli antichi romani, Plinio nel suo libro “Storia Naturale” suggeriva di non addormentarsi sotto un albero di noce, dopo circa duemila anni ancora oggi nel maceratese diciamo “Chi dorme sotto la noce, si fa il segno della croce” – continua Donati – Per parlare del dialetto bisogna guardare le aree dialettali e il nostro dialetto maceratese- fermano- camerte, ritengo insieme a degli esperti essere tra i più antichi d’Italia, dobbiamo tener conto che i dialetti italici, sono indipendenti dalle lingue romanze, ogni dialetto ha la sua indipendenza. Nel mio Glossario ho evidenziato due parole che non conosce più nessuno “senarda” di origine longobarda che significa confine agrario, si trova negli scritti del 1400. L’altra parola “trasanna” una capanna agricola, un deposito attrezzi, dove si facevano dei contratti, trovata nel regesto di Matelica di Giulio Grimaldi nel 1162-1275 la parola trasanna citata molte volte, conferma l’indipendenza del dialetto da una lingua cittadina.”
Un incontro, seguito da tantissime persone, che hanno scritto sulla pagina Facebook dell’Associazione Roti interagendo con il relatore, indice d’interesse dell’argomento.
Non si deve mai dimenticare che la tradizione è importante in ogni cultura o civiltà e le persone hanno un forte desiderio di recuperare i valori del passato. Ogni generazione deve prendere forza dalle altre e trasmetterla a quelle che verranno dopo, sempre nel segno delle tradizioni, simbolo duraturo di cultura e identità.
L’Organizzazione di Volontariato Roti, informa che gl’incontri proseguiranno anche nel mese di maggio e saranno a breve comunicate le date con l’argomento trattato, possiamo anticipare che si parlerà della Api di Rotis, di fotografia naturalistica, in particolare della fioritura nei prati di Roti e di storie e leggende della Gola di Jana.
Maria Cristina Mosciatti
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